Voglio dedicare questo spazio alla pedagogia di Don Bosco che fu anche l'oggetto della mia tesi di laurea intitolata "L'oratorio nell'esperienza educativa di Don Bosco".
Descrivendo il suo sistema educativo Don Bosco afferma che esso si poggia tutto sopra “la ragione, la religione e l'amorevolezza”; e la pratica di questo sistema è tutta basata sulle parole di S. Paolo:
”Charitas benigna est, patiens est; omnia suffert, omnia sperat, omnia sustinet”.
"La carità è benigna e paziente; soffre tutto, ma spera tutto e sostiene qualunque disturbo"
Ma prima di parlare del sistema preventivo, descriverò la sua pedagogia.
La pedagogia della dedizione totale. L'Oratorio, come Don Bosco lo ha vissuto e insegnato, non è costituito principalmente da strutture e iniziative; è anzitutto un atteggiamento interiore, spirituale e psicologico da cui scaturiscono zelo, pazienza e costanza.
Per fare "Oratorio" (SDB, FMA, animatori, allenatori...) si richiede una dedizione totale, senza dilettantismi, un coinvolgimento globale.
Nel sistema preventivo Don Bosco scrive:
«L’educatore è un individuo consacrato al bene dei suoi allievi, perciò deve essere pronto ad affrontare ogni disturbo, ogni fatica per conseguire il suo fine, che è la civile, morale, scientifica educazione dei suoi allievi» .
Forse si dovrebbe dare più peso alla parola "consacrato" nella scelta e nella formazione di tanti animatori.
"La mia vita è stare con voi", ripeteva Don Bosco. E così è per ogni educatore che non lavora per se stesso, per il suo prestigio personale, ma ama veramente, di cuore i suoi “birichin”.1
La pedagogia nell'amore dimostrato. L'amorevolezza, sinonimo di carità e di affetto, è al centro di tutto. Si traduce in atteggiamenti di confidenza e di familiarità, in apprezzamento alle cose che i giovani amano e delle loro giuste richieste.
Un tale amore, se percepito, spazza via ogni ostacolo e costituisce un canale privilegiato di educazione e di proposta di valori, perché parla il linguaggio del cuore e conquista i cuori dei giovani.
Come Don Bosco, l'animatore va a cercare i suoi ragazzi, ne conosce la storia e le qualità, li trattiene con allegria, sa farseli amici. Sceglie quelli che si trovano in maggior bisogno e pericolo, li contatta con frequenza, non li abbandona; ha una cura personalizzata per ognuno.
<<Bisogna che i giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati. Chi vuol essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Chi sa di essere amato, ama; e chi è amato ottiene tutto, specialmente dai giovani>>.2
La pedagogia dell'accoglienza e della presenza. La persona del ragazzo è accolta e amata com'è e per quel che è, con i suoi limiti e le sue potenzialità ed è valorizzata.
Il saluto, il dialogo cordiale, la condivisione del gioco e dei problemi quotidiani, la capacità di ascolto, la disponibilità paziente: sono atteggiamenti in cui si concretizza l'accogliente carità.
Per accogliere occorre essere presenti: l'assistenza salesiana fatta di presenza significative ed educatrice, specie nei momenti di ricreazione:
<<maestro visto solo in cattedra e maestro e non più, ma se va in ricreazione coi giovani diventa come fratello.
Se uno è visto solo predicare dal pulpito si dirà che fa né più né meno che il proprio dovere, ma se dice una parola in ricreazione, è la parola di uno che ama>>.3
La pedagogia di ambiente. Ed è proprio la presenza accogliente dell'educatore/trice che assicura il “clima”, fatto di rispetto delle cose e delle persone, di cordialità di rapporti e di progressivo coinvolgimento. Se non è ambiente educativo, l'Oratorio è casa di accoglienza solo a parole e molte volte non lo è proprio perché mancano le figure di riferimento, che <<come padri amorosi parlino, servano da guida in ogni evento, diano consigli e amorevolmente correggano>>.
Ognuna di queste parole è un tassello importante per costruire “il clima”.
Un ambiente educativo “parla” ai giovani attraverso una molteplicità di linguaggi e li forma come osmosi.4
La pedagogia del coinvolgimento e della responsabilizzazione. I giovani non sono trattati da semplici destinatari di iniziative proposte dagli educatori, Don Bosco sa che i giovani sono i migliori educatori dei loro coetanei, per cui dalla chiesa al cortile, dalla formazione all'espressione sono tutti coinvolti e responsabilizzati: giochi per tutte le età e abilità fisiche, ruoli diversificati nella preghiera e nella liturgia (chierichetti, cantori, sacrestani...). Il cammino di coinvolgimento non vuole escludere nessuno, si adatta alle capacità dei singoli e porta i più dotati ad una crescente tensione missionaria e spirituale.5
La pedagogia della festa e dell'allegria. È uno degli elementi più vistosi dell'Oratorio. Nella mente e nella prassi di Don Bosco, le feste sono accuratamente dislocate tutto l'anno oratoriano come tappe di un cammino formativo. Componenti della festa erano:
- la musica vocale e strumentale (curata con prove settimanali, affidata a maestri preparati);
- la recitazione che si proponeva di “rallegrare, educare ed istruire”; era una vera scuola di cultura ed elevazione morale, con la scelta di buoni autori e il rigore della messa in scena.
- La gioia era per Don Bosco l'”undicesimo comandamento”: una gioia che nasce dal rapporto di fiducia e di collaborazione tra i giovani e gli educatori.
Una comunità che si interessa e partecipa alla vita dei giovani con la volontà di crescere insieme , per sperimentare la gioia della “comunione dei cuori”.
Una gioia, quella salesiana, che si fonda sulla presenza del Signore nella vita di tutti i giorni, nella materna assistenza di Maria Santissima e nel “sapersi amati” dagli educatori.6
La pedagogia di massa e di gruppi. Il carattere popolare e missionario dell'Oratorio di Don Bosco ne fanno uno spazio di ampia convocazione giovanile e fin dai primi tempi l'Oratorio si è sempre caratterizzato dalla pedagogia di massa.
Ma una delle strategie più efficaci, è stata la creazioni di gruppi ed associazioni, che gli hanno permesso di offrire contenuti qualificati e maggiori stimoli di crescita più ricettivi e al tempo stesso trovare collaborazione efficace.
In questo equilibrio tra cura della grande massa e attenzione alla formazione di gruppi scelti (o al singolo giovane) sta uno dei segreti più preziosi della sua pedagogia.7
La pedagogia dell'evangelizzazione. Per Don Bosco evangelizzare significa:
Costruire un ambiente in cui parlare di Dio, fare proposte religiose e di impegno apostolico sia percepito dai giovani come fedeltà a un'identità irrinunciabile;
Avviare i giovani alla preghiera e ai sacramenti: dentro l'atmosfera dell'Oratorio, ricca di presenza di Dio, nasceva l'invito-offerta di momenti di preghiera, di catechismo. Don Bosco poi, fu un instancabile nel promuovere la Comunione frequente tra i suoi ragazzi e nel prestarsi per le Confessioni. Intuì la valenza pedagogica in questi due sacramenti, poiché per Lui la frequenza alla Comunione è collegata con una condotta di vita e a un'interiorità “degna” dell'Eucarestia.
È a questa scuola “sacramentale” che maturano le colonne dell'Oratorio prima e della Congregazione Salesiana poi.
In altre parole, Don Bosco presenta la sua opera innanzitutto come luogo di educazione alla fede. Nel suo programma la dimensione religiosa mantiene il primato, ne costituisce il fondamento e l'orizzonte in cui operare per la gioventù;
Nell'Oratorio il giovane viene educato a maturare una scelta vocazionale con la guida spirituale e la progressiva assunzione di responsabilità negli ambienti di vita quotidiana.
E questo avviene attraverso il coinvolgimento nell'azione pastorale in compiti diversificati, dalla catechesi alla vigilanza sulle attrezzature di gioco, dalla scuola all'interessamento verso i compagni più bisognosi, all'animazione delle ricreazioni.8
Il Sistema Preventivo
Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell'educazione della gioventù: Preventivo e Repressivo.
Nel sistema Repressivo le parole e l'aspetto del Superiore debbono sempre essere severe e piuttosto minacciose, ed egli stesso deve evitare ogni famigliarità con i dipendenti.
Il Direttore per accrescere valore della sua autorità dovrà trovarsi di rado tra i suoi soggetti e per lo più solo quando si tratta di punire o di minacciare. Questo sistema è facile, meno faticoso e giova specialmente nella milizia ed in generale tra le persone adulte ed assennate, che devono da se stesse essere in grado di sapere e ricordare ciò che è conforme alle leggi ed alle altre prescrizioni.
Diverso, e direi, opposto è il Sistema Preventivo.
Esso è un vero programma di vita per Don Bosco, la cui pratica si poggia sulle parole di S. Paolo, ed è sostenuto da 3 pilastri. Esse sono:
- Ragione
Il termine "ragione" sottolinea, secondo l'autentica visione dell'umanesimo cristiano, il valore della persona, della coscienza, della natura umana, della cultura, del mondo del lavoro e del vivere sociale, ossia di quel vasto quadro di valori che è come il necessario corredo dell'uomo nella sua vita familiare, civile e politica.
È significativo rilevare che già più di cento anni fa Don Bosco attribuiva molta importanza agli aspetti umani ed alla condizione storica del soggetto, alla sua libertà, alla sua preparazione alla vita e ad una professione, all'assunzione delle responsabilità civili, il tutto in un clima di gioia e di generoso impegno verso il prossimo. Egli esprimeva questi obiettivi con parole incisive e semplici, quali "allegria", "studio", "pietà", "saggezza", "lavoro" e "umanità". Il suo ideale educativo è caratterizzato da moderazione e realismo. Nella sua proposta pedagogica c'è una unione ben riuscita tra la permanenza dell'essenziale e la contingenza dello storico, tra il tradizionale e il nuovo. Il Santo presenta ai giovani un programma semplice e allo stesso tempo impegnativo, sintetizzato in una formula felice e suggestiva: onesto cittadino, perché buon cristiano.
In sintesi la ragione, a cui Don Bosco crede come dono di Dio e come compito inderogabile dell'educatore, indica i valori del bene, nonché gli obiettivi da perseguire, i mezzi ed i modi da usare. La ragione invita i giovani ad un rapporto di partecipazione ai valori compresi e condivisi. Egli la definisce anche ragionevolezza per quel necessario spazio di comprensione, di dialogo e di pazienza inalterabile in cui trova attuazione il non facile esercizio della razionalità.11
- Religione
Il secondo termine, "religione", indica che la pedagogia di Don Bosco è costitutivamente trascendente, in quanto l'obiettivo educativo ultimo che egli si propone è la formazione del credente. Per lui l'uomo formato e maturo è il cittadino che ha fede, che mette al centro della sua vita l'ideale dell'uomo nuovo proclamato da Gesù Cristo e che è coraggioso testimone delle proprie convinzioni religiose.
Non si tratta di una religione speculativa ed astratta, ma di una fede viva, radicata nella realtà, fatta di presenza e di comunione, di ascolto e di docilità alla grazia. La sua educazione è un "itinerario" di preghiera, di liturgia, di vita sacramentale e di direzione spirituale; per tutti, la prospettiva ed il conseguimento della santità.12
- Amorevolezza
Si tratta di un Atteggiamento quotidiano che non è semplice amore umano né solo carità soprannaturale. Esso esprime una realtà complessa ed implica disponibilità, sani criteri e comportamenti adeguati. L'amorevolezza si traduce nell'impegno dell'educatore quale persona totalmente dedita al bene degli educandi, presente in mezzo a loro, pronta ad affrontare sacrifici e fatiche nell'adempiere la sua missione. Tutto ciò richiede una vera disponibilità per i giovani, simpatia profonda e capacità di dialogo.
Il vero educatore, dunque, partecipa alla vita dei giovani, si interessa ai loro problemi, cerca di rendersi conto di come essi vedono le cose, prende parte alle loro attività sportive e culturali, alle loro conversazioni; come amico maturo e responsabile, prospetta itinerari e mete di bene, è pronto ad intervenire per chiarire problemi, per indicare criteri e per correggere, con prudenza e amorevole fermezza, valutazioni e comportamenti biasimevoli. In questo clima di "presenza pedagogica" l'educatore non è considerato un "superiore", ma un "padre, fratello e amico".
In tale prospettiva vengono privilegiate anzitutto le relazioni personali. Don Bosco amava usare il termine "familiarità" per definire il rapporto corretto tra educatori e giovani. La lunga esperienza lo convinse che senza familiarità non si può dimostrare l'amore, e senza tale dimostrazione non può nascere quella confidenza che è condizione indispensabile per la riuscita dell'azione educativa. Il quadro delle finalità da raggiungere, il programma e gli orientamenti metodologici, acquistano concretezza ed efficacia se vissuti in ambienti sereni, gioiosi e stimolanti.
Questi si articolano poi in mezzi e metodi che si esprimono nello spirito e nello stile della “famiglia”, in un clima serio ed impegnato, sempre temperato dalla spontaneità, dalla gioia e dall’attività individuale e di gruppo, protetta e promossa dalla presenza continua degli educatori e dalla loro assistenza. L’educatore è come il Buon Pastore che conosce le sue pecorelle, le chiama per nome, si fa ascoltare da esse, le raccoglie e le conduce, cerca quelle in difficoltà e le difende. Al centro del Sistema Preventivo sta, quindi, l’eccezionale ed umanissima carica di bontà educativa di Don Bosco, che si concretizza nel suo amore concreto verso i ragazzi; un amore che sa farsi amare, che suscita amore, che libera e salva. Ciò conduce ad una formazione che consente di diventare un “onesto cittadino nella civile società, buon cristiano nella Chiesa e un giorno fortunato abitatore del Cielo”. 13
La metodologia preventiva è tutta affidata all’educatore. Per diventare educatori è necessario che:
sia presente quella disposizione ed inclinazione naturale che cristianamente si chiama “vocazione”; la vocazione sia, per l'educatore, vita continuamente vissuta, e non a sbalzi o come un accessorio;
sia presente una cultura generale necessaria alle varie mansioni dell'educatore;
si sia sempre diretti e governati dai due elementi essenziali: Ragione e Religione che sono i due strumenti di cui deve costantemente far uso l'educatore. Ragione sotto forma di buon senso e religione sotto forma di carità;
sia bandita dalla missione educativa e nell'intenzione, ogni forma di violenza, sia materiale che morale o spirituale o intellettuale; nemmeno il “far imparare per forza” può essere buon norma didattica né dare frutto vero e durevole;
si eliminino i castighi ricorrendo a sanzioni religiose e morali; e quando dei castighi non si possa fare a meno, essi non siano mai inflitti come pena ma somministrati come medicina (...);
Il Sistema Preventivo come pedagogia
Il Sistema Preventivo è anche una metodologia pedagogica14 caratterizzata da:
- volontà di stare tra i giovani condividendo la loro vita, guardando con simpatia il loro mondo e facendo attenzione alle loro vere esigenze ed ai loro valori;
- accoglienza incondizionata che si fa forza promozionale e capacità instancabile di dialogo;
- criterio preventivo che crede nella forza del bene presente in ogni giovane, anche il più bisognoso, e cerca di svilupparla mediante esperienze positive di bene;
- centralità della ragione, fatta ragionevolezza delle richieste e delle norme, flessibilità e persuasione nelle proposte; della religione, intesa come sviluppo del senso di Dio insito in ogni persona e sforzo di evangelizzazione cristiana; della amorevolezza, che si esprime come un amore educativo che fa crescere e crea corrispondenza;
- ambiente positivo intessuto di relazioni personali, vivificato dalla presenza amorosa e solidale, animatrice ed attivante degli educatori e del protagonismo degli stessi giovani;
- uno stile di animazione che crede nelle risorse positive del giovane
Utilità del Sistema Preventivo
Oltre ai vantaggi sopra esposti si aggiunge ancora qui che:
1) L'allievo sarà sempre pieno di rispetto verso l'educatore e ricorderà sempre con piacere la direzione avuta, considerando tuttora quali padri e fratelli i suoi maestri e gli altri superiori. Dove vanno questi allievi per lo più sono la consolazione della famiglia, utili cittadini e buoni cristiani.15
2) Qualunque sia il carattere, l'indole, lo stato morale di un allievo all'epoca della sua accettazione, i parenti possono vivere sicuri che il loro figlio non potrà peggiorare, si può dare per certo che si otterrà sempre qualche miglioramento. Anzi certi fanciulli che per molto tempo furono il flagello dei parenti e perfino rifiutati dalle case correzionali, coltivati secondo questi principi, cambiarono indole, carattere, si diedero ad una vita costumata e presentemente occupano onorati uffici nella società, divenuti così il sostegno della famiglia, decoro del paese in cui dimorano.16
3) Gli allievi che per avventura entrassero in un istituto con tristi abitudini non possono danneggiare i loro compagni. Né i giovanetti buoni potranno ricevere danno da costoro, perché non c'è né tempo, né luogo, né opportunità, perché l'assistente, che supponiamo presente, ci porrebbe subito rimedio.17
Aiutare i giovani a scoprire la propria vocazione personale: ognuno è chiamato a occupare un posto ben preciso nella storia; per questo ha ricevuto da Dio doti, attitudini e opportunità di cui dovrà rendere conto.
Una parola sui castighi
La pratica della “correzione”e dei “castighi”, nell’esperienza educativa di Don Bosco, si fonda su quello che si può considerare uno dei principi capitali della sua spiritualità e della sua pedagogia:
1) L'educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo che eccita la emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai.18
2) Presso ai giovanetti è castigo quello che si fa servire per castigo. Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce maggior effetto che non farebbe uno schiaffo. La lode quando una cosa è ben fatta, il biasimo quando vi è trascuratezza, sono già un premio o un castigo.19
3) Eccettuati rarissimi casi, le correzioni e i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni; si usi massima prudenza e pazienza per fare che l'allievo comprenda il suo torto con la ragione e con la religione.20
4) Il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili si devono assolutamente evitare, perché sono proibiti dalle leggi civili, irritano grandemente i giovani ed avviliscono l'educatore.21
5) Il Direttore faccia ben conoscere le regole, i premi e i castighi stabiliti dalle leggi di disciplina, affinché l'allievo non si possa scusare dicendo: Non sapevo che ciò fosse proibito.22
Se nelle nostre Case si metterà in pratica questo sistema, io credo che potremo ottenere grandi vantaggi senza venire né alla sferza, né ad altri violenti castighi. Da circa quarant'anni tratto con la gioventù: non mi ricordo d'aver usato castighi di sorta, e con l'aiuto di Dio ho sempre ottenuto non solo quanto era di dovere, ma anche quello che semplicemente desideravo; ciò da questi stessi fanciulli, per i quali sembrava perduta la speranza di buona riuscita.
Una parola sui premi
Nella dottrina e nella prassi di Don Bosco è pure presente la tradizionale pedagogia del “premio”, quanto mai semplice e familiare, con l’ annessa “festa delle premiazioni”. Cresciuto in scuole d’ ispirazione gesuitica, Don Bosco non poteva non poggiare la sua educazione anche sul fattore psicologico e morale dell’emulazione.
Il premio più ambito dai giovani doveva essere quello connesso con il bene compiuto e con l’intima soddisfazione da esso prodotta, sottolineati dal cordiale ed affettuoso consenso dell’educatore.
Per un lungo periodo di anni, Don Bosco aveva istituito un premio di buona condotta annuale che veniva conferito ai migliori, indicati mediante libere e democratiche designazioni che avevano luogo, di regola, prima della festa di san Francesco di Sales, il 29 gennaio.
La solenne premiazione per la scuola e per il profitto nello studio veniva fatta verso il termine dell’anno scolastico, a metà agosto o ai primi di settembre. Essa assumeva particolare solennità con canti, declamazioni, esecuzioni di musica strumentale scelta e discorsi d’occasione, alla presenza di persone qualificate.
Venivano pure conferiti premi speciali più semplici, settimanali o mensili. Molto apprezzato era il privilegio di sedere a mensa alla domenica con Don Bosco e i “superiori”, per coloro che in ogni classe si erano distinti per la buona condotta.
Fu costante preoccupazione di Don Bosco che il premio e la lode non fossero attribuiti esclusivamente alle doti naturali degli alunni, prescindendo dalla buona volontà e dalla diligenza. Egli raccomandò con insistenza agli educatori di non subordinare le loro valutazioni a compiacenze per doti puramente innate o a simpatie.23
1 Gianni Ghiglione, L'oratorio di Don Bosco, in Missione 2000, p.36.
2 Ivi, pp. 37-38.
3 Ivi, pp. 38-39.
4 Ivi, pp. 39–40.
5 Ivi, pp. 40-41.
6 Ivi, p.42.
7 Ivi, p.43.
8 Ivi, pp. 44-46.
9 D. B. FASCIE, “Del metodo educativo di Don Bosco” , cit. p. 41.
10 Ivi, p.30.
11http://www.salesianinordest.it/index.php?option=com_content&view=article&id=13:la-ragione&catid=34:il-sistema-preventivo&Itemid=41 scritto da redazione 28 Agosto 2010.
12 Ibidem.
13 Ibidem.
14 http://www.donbosco.it/index.php?option=com_content&view=article&id=62&Itemid=208
15 Oltre ai vantaggi sopra esposti si aggiunge ancora che: l'allievo avrà sempre pieno rispetto verso l'educatore e ricorderà con piacere l'educazione ricevuta. Dove vanno questi allievi per lo più sono la consolazione della famiglia, utili cittadini e buoni cristiani.
16Qualunque sia il carattere, l'indole o lo stato morale di un allievo all'epoca della sua accettazione, i parenti possono vivere sicuri che il loro figlio non potrà peggiorare. Si può dare anzi per certo che si otterrà sempre qualche miglioramento. Certi fanciulli che per molto tempo furono il flagello dei parenti e furono perfino rifiutati dalle case correzionali, educati secondo questi principi, cambiarono indole, carattere, si diedero ad una vita più civile e consona ai costumi e, successivamente, occuparono posizioni dignitose ed a volte importanti nella loro società, divenendo così il sostegno della famiglia.
17Gli allievi che per avventura entrassero in un Istituto con tristi abitudini, non potrebbero danneggiare i loro compagni. Né i ragazzi assennati potrebbero ricevere danno da costoro, poiché non avrebbero né il tempo né le opportunità, proprio in virtù della presenza costante dell'educatore che interverrebbe per porre immediato rimedio alle potenziali situazioni dannose.
Passo tratto da D. B. FASCIE, “Del metodo educatico di Don Bosco” , cit., pp. 43-44.
18La diade “ amore, timore”, infatti, non è meno fondamentale della più famosa triade “ragione, religione, amorevolezza”. Ambedue affondano le radici nella fede e nella teologia, sviluppandosi e fruttificando nella pedagogia e nella pastorale.
19 Si è osservato che anche uno sguardo non amorevole sopra taluni produce maggior effetto di quello che si otterrebbe con uno schiaffo. La lode quando una cosa è ben fatta, ed il biasimo quando vi è trascuratezza, sono già un gran premio od un castigo.
20 Eccetto in rarissimi casi, i castighi non si devono mai dare in pubblico, ma privatamente, lontano dai compagni; è necessario l'uso della prudenza e della pazienza per far sì che l'allievo comprenda il suo torto, con la ragione e con la religione.
21 Quando poi fosse inevitabile, il castigo non è dato “se non dopo aver esauriti tutti gli altri mezzi” e se non c’è speranza di qualche profitto per l’interessato. È, inoltre, una posizione tenacemente ripetuta, quella di non dare mai castighi violenti e fisici: “il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili si debbono assolutamente evitare, perché sono proibiti dalle leggi civili, irritano grandemente i giovani ed avviliscono l’educatore”.
22 E' bene che il Direttore conosca perfettamente le regole, i premi ed i castighi stabiliti dalle leggi di disciplina, affinché l'allievo non possa accampare delle scuse. Tratto da D. B. Fascie, “Del metodo educativo di Don Bosco”, cit., p. 44.
23 http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=3895&stampa=1
Nessun commento:
Posta un commento